Se invitassimo il Presidente del Consiglio dei Ministri della
Repubblica Italiana a leggere questo articolo credete che impiegherebbe
venti minuti del suo ormai preziosissimo tempo per farlo?
E poi
magari impiegare qualche ora di riflessione per decidere se non sia il
caso di trarne le inevitabili implicazioni? Almeno per il nostro Paese.
Sarebbe troppo giovane o non abbastanza anziano per osare e dichiarare che:
"Oste, abbiamo un problema"
("Il vino comincia ad essere annacquato e il pane ha un retrogusto di segatura")
Da Effetto Risorse, post attuale di Ugo Bardi.Traduzione di Massimiliano Rupalti
Un ex geologo della British Petroleum ha avvertito che l'era del petrolio a
buon mercato è finita da un pezzo, portando con la sua partenza il
pericolo di “recessione continua” e di aumento del rischio di conflitto e
fame. In una lezione su “rischi geologici” all'inizio di questo mese,
come parte del post-dottorato corso sui Rischi Naturali per Assicuratori al
Collegio Universitario di Londra, il dottor Richard G. Miller, che ha
lavorato per la BP dal 1985 prima di andare in pensione nel 2008, ha
detto che la data ufficiale di Agenzia Internazionale per l'Energia (IEA)
, Amministrazione dell'Informazione sull'Energia degli Stati Uniti
(EIA) e Fondo Monetario Internazionale (FMI), fra le altre fonti, ha
mostrato che il petrolio convenzionale aveva molto probabilmente
raggiunto il picco intorno al 2008. Il dottor Miller ha criticato la
linea ufficiale dell'industria secondo la quale le riserve dureranno 53
anni al tasso attuale di consumo, sottolineando che “il picco è il
risultato dei tassi di produzione in declino, non del declino delle
riserve”. Nonostante nuove scoperte e un'aumentata dipendenza da
petrolio e gas non convenzionale, 37 paesi sono già postpicco e la
produzione globale di petrolio sta declinando di circa il 4,1% all'anno,
o 3,5 milioni di barili al giorno (Mb/g) all'anno:
“Ci serve
una nuova produzione pari ad una nuova Arabia Saudita ogni 3-4 anni per
mantenere e aumentare la fornitura... Le nuove scoperte non hanno
compensato il consumo dal 1986. Stiamo attingendo dalle nostre riserve,
anche se le riserve stanno apparentemente aumentando ogni anno. Le
riserve stanno aumentando grazie a migliori tecnologie nei pozzi
petroliferi, aumentandone la quantità che possiamo recuperare – ma la
produzione sta ancora diminuendo del 4,1% all'anno”.
Il
dottor Miller, che ha preparato le proiezioni annuali interne di
fornitura di petrolio della BP dal 2000 al 2007, si riferisce a questo
come al “problema del bancomat” - “più soldi, ma prelievi quotidiani
ancora limitati”. Di conseguenza, “la produzione di petrolio liquido
convenzionale è stata piatta dal 2008. La crescita nella fornitura di
liquidi da allora è stata in grandissima parte di liquidi del gas
naturale [LGN] – etano, propano, butano, pentano – e di sabbie
bituminose”.
Il dottor Miller è coeditore di una edizione speciale della prestigiosa rivista Transazioni Filosofiche della Società Reale A, che questo mese ha pubblicato sul futuro della fornitura di petrolio. In un saggio introduttivo scritto insieme al dottor Steve R. Sorrel, co-direttore del Sussex Energy Group all'Università
del Sussex di Brighton, sostengono che fra gli esperti dell'industria
“c'è un consenso crescente sul fatto che l'era del petrolio facile sia
passata e che stiamo entrando in una fase molto diversa”. I due autori
sostengono la conclusione prudente di un esteso studio precedente da
parte del Centro per la Ricerca Energetica del Regno Unito finanziato dal governo:
“...
un declino sostenuto nella produzione globale convenzionale appare
probabile prima del 2030 e qui c'è un rischio significativo che questo
abbia inizio prima del 2020... coi dati attuali, l'inclusione delle
risorse di tight oil [petrolio di scisto] sembra improbabile che
condizioni significativamente questa conclusione, in parte perché la
risorsa di base appare relativamente modesta”.
Infatti, la sempre maggiore dipendenza dallo scisto potrebbe peggiorare i tassi di declino sul lungo termine:
“Una maggiore dipendenza dalle risorse di tight oil prodotte usando la
fratturazione idraulica (fracking) peggiorerà qualsiasi tendenza
crescente nei tassi di declino medio globale, visto che quei pozzi non
hanno plateau e declinano in modo estremamente veloce – per esempio, del
90% o più nei primi 5 anni”.
Le sabbie bituminose viaggeranno sullo stesso binario, concludono, notando che “le sabbie bituminose
canadesi consegneranno solo 5 Mb/g nel 2030, che rappresenta meno del
6% della proiezione della IEA della produzione di tutti i liquidi per
quella data”. Nonostante le proiezioni caute, il picco del petrolio “prima del 2020”, sottolineano anche che:
“La
produzione di petrolio greggio è cresciuta di circa l'1,5% all'anno fra
il 1995 ed il 2005, ma poi ha mantenuto un plateau, con aumenti più
recenti nella fornitura di liquidi in gran parte derivati dai Liquidi
del Gas Naturale, dalle sabbie bituminose e dal petrolio di scisto. Si
prevede che queste tendenze continuino... La produzione di petrolio
greggio è fortemente concentrata in pochi paesi e in pochi enormi
giacimenti, con approssimativamente 100 giacimenti che producono la metà
della fornitura globale, 25 che ne producono un quarto ed un singolo
giacimento (Ghawar in Arabia Saudita) che ne produce circa il 7%. Gran
parte di questi giacimenti giganti sono relativamente vecchi, molti
hanno superato da un pezzo il loro picco di produzione, gran parte del
resto sembra probabile che entrino in declino entro il prossimo
decennio, più o meno, e ci si aspetta di trovare pochi nuovi giacimenti
giganti”.
“Il picco finale sarà deciso dai prezzi – quanto
possiamo permetterci di pagare?” mi ha detto il dottor Miller in
un'intervista sul suo lavoro. “Se ci possiamo permettere di pagare 150
dollari al barile, potremmo certamente produrre di più, a parte alcuni
anni per l'attivazione di nuovi sviluppi, ma distruggerebbe comunque le
economie”. Miller sostiene che per tutti gli intenti e gli scopi, il
picco del petrolio è arrivato in quanto le condizioni sono tali che
nonostante la volatilità, i prezzi non possono più tornare ai livelli di
prima del 2004:
“Il prezzo del petrolio è salito quasi di
continuo dal 2004 ad oggi, partendo da 30 dollari. C'è stato un grande
picco a 150 dollari e poi un collasso nel 2008/2009, ma da allora è
risalito a 110 dollari e si è mantenuto lì. L'aumento del prezzo ha
portato molte nuove esplorazioni e sviluppo, ma questi nuovi giacimenti
non hanno di fatto aumentato la produzione di molto, a causa del declino
degli altri giacimenti. Questo è compatibile con l'idea che siamo oggi
praticamente al picco. Questa recessione è il modo in cui si manifesta
il picco”.
Anche se taglia corto sulla capacità del
petrolio e del gas di scisto di evitare un picco ed un successivo lungo
declino della produzione globale di petrolio, Miller riconosce che c'è
ancora qualche margine che potrebbe portare dividendi significativi, se
temporanei, per la crescita economica degli Stati Uniti – anche se solo
come “un fenomeno dalla vita relativamente breve”:
“Siamo
come una gabbia di topi da laboratorio che ha mangiato tutti i fiocchi
di mais ed ha scoperto che si può mangiare anche la scatola. Sì,
possiamo, ma... Il tight oil potrebbe raggiungere 5 o anche 6 Mb/g negli
Stati Uniti, il che aiuterà enormemente l'economia statunitense,
insieme al gas di scisto. Le risorse di scisto, comunque, sono
inappropriate per paesi più densamente popolati come il Regno Unito,
perché l'industrializzazione della campagna colpisce molta più gente
(con molto meno accesso a spazio naturale alternativo) e i benefici
economici sono diffusi in modo più fine fra più persone. La produzione
di tight oil negli Stati Uniti è probabile che raggiunga il picco prima
del 2020. Non ci sarà assolutamente sufficiente produzione di tight oil
per rimpiazzare gli attuali 9 Mb/g di importazioni degli Stati Uniti”.
A sua volta, prolungando la recessione economica globale, gli alti
prezzi del petrolio potrebbero ridurre la domanda. Il picco della
domanda a sua volta potrebbe mantenere un plateau produttivo più a
lungo:
“Probabilmente ci troviamo nel picco del petrolio già
oggi, o perlomeno lì vicono. La produzione potrebbe aumentare un po'
ancora per qualche anno, ma non abbastanza da far scendere i prezzi; in
alternativa, la recessione continua in gran parte del mondo potrebbe
mantenere la domanda essenzialmente piatta per anni al prezzo di 110
dollari al barile che abbiamo oggi. Ma non possiamo aumentare la
fornitura ai tassi medi del passato di circa l'1,5% all'anno ai prezzi
di oggi”.
La dipendenza fondamentale della crescita
economica globale dalle forniture di petrolio a buon mercato suggerisce
che mentre procediamo nell'era del petrolio e del gas costosi, senza
sforzi appropriati per mitigare gli impatti e transitare ad un nuovo
sistema energetico, il mondo affronta un futuro di turbolenza economica e
geopolitica:
"Negli Stati Uniti, gli alti prezzi del
petrolio sono collegati alla recessione”, anche se non tutte le
recessioni sono collegate ai prezzi del petrolio. Questo non prova la
causalità. Ma è altamente probabile che quando gli Stati Uniti pagano
più del 4% del proprio PIL per il petrolio, o più del 10% del PIL per
l'energia primaria, l'economia declina, in quanto il denaro viene
risucchiato dall'acquisto di carburante anziché di altri beni e
servizi... Una scarsità di petrolio colpirà tutto nell'economia. Mi
aspetto più carestia, più siccità, più guerre per le risorse ed
un'inflazione stabile del costo energetico dei beni”.
Secondo un altro studio sull'edizione speciale della rivista della Royal Society
del professor David J. Murphy dell'Università dell'Illinois del Nord,
un esperto del ruolo dell'energia nella crescita economica, il ritorno
energetico sull'investimento (EROEI) per la produzione globale di
petrolio e gas – la quantità di energia prodotta in confronto alla
quantità di energia investita per ottenere, consegnare ed usare
quell'energia – è approssimativamente di 15 ed in declino. Per gli Stati
Uniti, l'EROEI della produzione di petrolio e gas è di 11 e in declino.
E per il petrolio non convenzionale e i biocombustibili è di gran lunga
inferiore a 10. Il problema è che mentre l'EROEI diminuisce, i prezzi
dell'energia aumentano. Così, Murphy conclude:
“... il prezzo
minimo del petrolio necessario per aumentare la fornitura di petrolio
sul breve termine è a livelli coerenti coi livelli che hanno indotto
recessioni economiche in passato. Da questi punti, concludo che, mentre
l'EROEI del barile medio di petrolio declina, la crescita economica a
lungo termine diventerà più difficile da ottenere e viene ad un costo
finanziario, energetico ed ambientale sempre più alto”.
L'attuale EROEI negli Stati Uniti, ha detto Miller, semplicemente “non è
sufficiente per sostenere l'infrastruttura statunitense, anche se
l'America fosse autosufficiente, senza aumentare la produzione anche
oltre l'attuale consumo”. Nella loro introduzione alla collezione di
saggi nella rivista della Royal Society, Miller e Sorrel indicano che
“gran parte degli autori” dell'edizione speciale “accettano che le
risorse di petrolio convenzionale sono in uno stadio avanzato di
esaurimento e che i combustibili liquidi diventeranno più costosi e
sempre più scarsi”. La rivoluzione dello scisto può fornire solo “un
sollievo a breve termine”, ma è “improbabile che faccia una differenza
significativa sul lungo termine”. Chiedono una “risposta coordinata” a
questa sfida per mitigare l'impatto, compresi “cambiamenti lungimiranti
nel sistema globale di trasporti”.
Mentre “le soluzioni amiche
del clima al 'picco del petrolio' sono disponibili”, avvertono, queste
non saranno né “facili” né “veloci” ed implicano un modello di sviluppo
economico che accetti livelli più bassi di consumo e mobilità. Nella sua
intervista con me, Richard Miller è stato particolarmente critico con
le politiche del governo del regno Unito, compreso l'abbandono dei
progetti su larga scala di eolico, la riduzione delle tariffe
incentivanti per l'energia rinnovabile e il sostegno al gas di scisto.
“Il governo farà qualsiasi cosa per tenere in movimento l'economia a
breve termine”, ha detto, “ma le conseguenza saranno che il Regno Unito
viene legato in modo più stretto ad un futuro basato sul petrolio, e
pagheremo caro per questo”.
Marco Sclarandis
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