Tuesday, October 1, 2013

Così pure franano le montagne



V'è un sentore d'incipiente esito
uno sciacquìo di recipiente colmo
esala da certe soste


che assembramenti e baraonde
si danno inavvertitamente
stanchi di concerti e sfizi

tuona dai silenzi postumi
di sani assoggettati a un raptus
che riavutisi dalle visioni
fuggono da comizi e sette

è un rombo di miliardi
di desideri inappagati
d’intenzioni stese a lastricare
viali di paradisi fatui

è un tonfo di smottamento
come di fedi scivolate
dal dogma alla superstizione
è uno scricchiolìo sinistro
di putrella che non sfama tarlo
e di ruggine non teme abbraccio

da quale forza quindi
sta arrivando per lei il colpo
che la renderà deforme

è un gemito di cemento
rivolto al muschio che lo mastica
implorandolo d’affrettarsi
a far di sè di nuovo ghiaia
acqua corrente ed ardente aria

sfrigola nel rumore un coro
allertato e sventolante
uno spartito inedito ed un mondo
nuovo e di nuovo da cantare

osano rari tizi consci
ad ergersi direttore
perchè abbastanza


l’aristocratica bacchetta
si è sollevata a diventare
scettro pollice verso nerbo

i timidi orchestrali attendono
finalmente una mano in volo
quale libellula planante
barbaglìo di cristallo in grotta
cenno d’armonia intentata

ed al silenzio imponga
la liberazione della voce. 

Marco Sclarandis

Monday, September 30, 2013

Io sono la Luna, dappertutto.



La lotta contro il ritorno al Medio Evo, inteso come epoca oscura e barbara (anche se non lo era) si fa anche e soprattutto con la poesia, come facciamo spesso in questo blog. Oggi, celebriamo anche noi l'anniversario della nascita di un grande poeta della pace e dell'amore, il persiano Rumi. (da ian.irib.ir)




Iran, Maulana Jalaluddin Rumi poeta di pace e amore+canzone
 

Iran, Maulana Jalaluddin Rumi  poeta di pace e amore+canzone
Oggi,il 30 settembre, numerosi enti e associazioni culturali e spirituali  iraniani e stranieri commemorano l’anniversaio della nascita del celebre filosofo e poeta mistico persiano Maulana Jalaluddin Balkhi conosciuto come Rumi nella città di Konya.

Circa ottocento anni fa, a Balkh, una città nel nord est del Regno di Persia, nasceva un bambino molto speciale, destinato a diventare famoso col nome di Rumi.

Suo padre, Bahâ Valad, era un rinomato studioso e un mistico sufi, ai cui sermoni si dice assistesse addirittura il re di Persia.

Quando Rumi era ancora un ragazzino, la sua famiglia si trasferì più a ovest e dopo aver vagato per parecchi anni di città in città, si fermò a Konyam, nell'attuale Turchia, dove Bahâ Valad fu così bene accolto, che i regnanti del tempo costruirono addirittura una scuola per lui. Bahâ Valad morì nel 1231 e Rumi, che allora aveva 24 anni, decise di proseguire l'operato del padre, approfondì gli  studi di filosofia, letteratura, storia, legge islamica e altre materie e si affermò come uno stimato insegnante di religione.

Verso la fine di novembre del 1244 Rumi incontrò un derviscio errante: Shams Tabrizi, letteralmente «il sole di Tabriz» (città del Nord Est della Persia, ndt), ormai sessantenne e che aveva dedicato tutta la sua vita alla pratica degli insegnamenti sufi. Questo incontro e le successive conversazioni con Shams provocarono una profonda trasformazione in Rumi che divenne un mistico e un poeta dell'amore. Negli anni seguenti, Rumi ridusse il suo interesse per lo studio e cominciò a dedicare gran parte del suo tempo alla poesia, sviluppando la pratica del samâ, dove meditazione, musica, canto e danza sufi si fondono insieme costituendo una tradizione che conta ancor oggi migliai di discepoli in tutto il mondo.

Rumi, uomo di profonda cultura e grande amore, era un vulcano addormentato pronto a eruttare e Shams aveva semplicemente rimosso il tappo di roccia permettendo al flusso potente della visione spirituale e dell'amore per il mondo di Rumi di esprimersi. Rumi non fu mai un poeta professionista, perché traeva la sua sussistenza dalla scuola religiosa, ma fu comunque un poeta molto prolifico e appassionato, producendo due capolavori della poesia persiana: Diwân Shams Tabrizi, «il libro di poesia di Shams Tabrizi», in onore del suo maestro spirituale, composto di 44 mila versi di poesia lirica, e Masnawi Ma'nawi, «distici in rima su temi spirituali», composto di circa 26 mila versi.

Mentre il Diwân è ricco di poesie emotive e infuocate, il Masnawi è un libro di poesia didattica che insegna la saggezza dell'amore o, nelle parole con cui lo stesso Rumi apre il poema: «le radici delle radici delle radici di tutte le religioni». A differenza di molti poeti che sono soliti correggere e perfezionare più volte le proprie poesie, Rumi le scriveva di getto e le recitava ai propri discepoli in uno stato di estasi e contemplazione, mentre ascoltava musica, danzava o nel bel mezzo di una conversazione. I suoi poemi sono dunque ricchi di immagini spontanee presentate in un linguaggio visuale fresco e bellissimo, marchio non solo di un abile poeta, ma anche di un maestro mistico.

Per secoli gli iraniani lo hanno chiamato Moulâna: semplicemente «maestro». Il poeta dell'amore L'amore - ishq in arabo, persiano, turco e hindi - è il filo comune che attraversa tutte le poesie di Rumi, direttamente o per implicazione.

Tuttavia, come sottolinea giustamente Coleman Barks, l'amore di Rumi non è del tipo «lei mi ha lasciato, lui mi ha lasciato, lei è tornata...».

L'amore di cui parla Rumi ha le sue radici nella realizzazione dell'amore divino e nelle sue propagazioni nel mondo e nella vita umana. Per Rumi, l'amore è di due categorie: l'amore supremo che è Dio, la verità, il nostro amore per Dio, e l'amore derivato che è il riflesso in noi dell'amore divino, l'amore verso la creazione, quindi l'amore verso il partner, i figli, le creature viventi, l'intero cosmo.

Rumi lascia intenzionalmente nell'ambiguità i confini tra queste due dimensioni dell'amore poiché crede che se davvero una persona sente amore, compassione e tenerezza verso un altro essere vivente, questo non è altro che un riflesso dell'amore divino e una guida alla realizzazione della presenza di Dio. Per spiegare questo, i sufi utilizzano una arabola: l'amore e la presenza di Dio sono come il sole, troppo potente per essere guardato direttamente, ma di cui possiamo godere il riflesso sulle acque di un lago.
In una sua nota poesia, Rumi dice:

Nel regno del Non-visibile 
esiste un legno di sandalo
che brucia.
Questo amore è il fumo
di quell'incenso.


Questa poesia tocca in modo elegante un problema importante nella nostra relazione con Dio. Ci sono molte persone che rifiutano Dio perché non l'hanno mai visto. Naturalmente uno non può mai vedere Dio, così come un pesce non vede l'acqua in cui nuota. Rumi porta la nostra attenzione sui nostri sensi interiori, invitandoci ad «annusare» Dio. L'incenso, nella tradizione sufi, buddista e hindu è proprio usato per evocare in noi il senso della presenza divina.

Rumi vede l'amore come la matrice del cosmo. Uso l'espressione «matrice dell'amore cosmico» nel moderno senso scientifico. La spiegazione migliore che i fisici forniscono della forza gravitazionale non è quella di una semplice attrazione tra due corpi isolati, ma quella di una forza insita nella stessa trama dell'universo.

Rumi dice:

Se il Cielo non fosse innamorato
il suo seno non sarebbe dolce.
Se il Sole non fosse innamorato
il suo volto non brillerebbe.
Se la Terra e le montagne
non fossero innamorate
nessuna pianta germoglierebbe
dal loro cuore.
Se il Mare non conoscesse l'amore
Se ne starebbe immobile
da qualche parte.
Se il cielo, le montagne, i fiumi e
ogni altra cosa nell'universo fossero
egoisti e avidi come l'uomo e come
lui cercassero di conquistare e accumulare
cose per sé, l'universo non
funzionerebbe. Rumi dice che è grazie
all'amore che nel mondo esistono:
bellezza, luce, movimento e
vita. Il cielo offre la pioggia; l'acqua
e la terra sono amanti senza ego e
sono loro a far crescere le piante...


Rumi ne conclude dunque che il posto naturale per l'uomo è il proprio cuore e l'amore. I desideri egoistici senza fine e l'avidità sono cose futili in cui sprechiamo la nostra vita, perché noi siamo mortali e il mondo non è fermo, ma fluisce.

L'amore è il sentiero di Rumi per arrivare a Dio. In molte delle sue poesie Rumi si riferisce ai due stati della mente a cui i maestri sufi credono che l'amore conduca: fanâ, «estinzione », simile al nirvana dei buddisti, ovvero l'annientamento dell'ego e l'ebbrezza totale nell'amore divino; bagâ, «presenza», il dimorare con l'eterno amato.

Rumi manda il seguente messaggio a coloro che vogliono seguire il sentiero dell'amore divino:

Va' e lava tutto l'odio dal tuo cuore
sette volte con l'acqua
Poi potrai essere nostro compagno
e bere il vino dell'amore.


L'amore è l'alchimia della pace. Poco dopo la fine della seconda guerra mondiale, nel 1945, Albert Einstein osservò che «la guerra è vinta, ma la pace no». Rumi ha la stessa visione: la violenza non genera una pace duratura; solo la comprensione, la compassione, la gentilezza e la condivisione possono farlo e queste sono le qualità dell'amore.


Un ponte fra Est e Ovest

Rumi morì il 17 dicembre 1273, una domenica al tramonto a Konya, all'età di 66 anni. Al suo funerale parteciparono genti di religioni diverse e di varia estrazione: musulmani, ebrei, cristiani, poveri, ricchi, ignoranti e letterati, a porgere l'estremo omaggio e a lamentare la perdita di questo grande saggio e poeta. La sua tomba a Konya è oggi un tempio per tutti coloro che amano e cercano la pace e la verità.

La poesia di Rumi può oggi costruire un saldo ponte tra il mondo islamico e quello occidentale, perché egli parla il linguaggio dell'amore che aiuta tutti noi ad allontanarci dalla politica dell'odio per avvicinarci alla divina compassione e comprensione che sono nei nostri cuori.

Ancora a sette secoli di distanza, le dolci poesie di Rumi restano vive sulle nostre labbra in molte lingue.

Io sono la Luna, dappertutto  




Sunday, September 29, 2013

Franco Battaglia: la stanchezza climatica

Nell'articolo più sotto, Franco Battaglia si destreggia come può di fronte all'ultimo rapporto sul clima dell'IPCC. Onestamente, però, è un po' dura con solo mezza paginetta mettersi a controbattere le migliaia di pagine del rapporto, a loro volta basate su decine di migliaia di studi. E anche difficile farlo basandosi sull'appoggio di Giovanni Sartori, brava persona ma non un climatologo e oltretutto quasi novantenne

Ciononostante, Battaglia non si arrende. Ma non sembra anche a voi che sia un po' stanco? Che tiri avanti questa paginetta perché proprio deve? Che rimescoli alla meglio cose dette e ridette mille volte? Anche il titolo, "da eretico a profeta", lascia perplessi. Cosa vorrà dire? Insomma, un minestrone un po' scotto, ben lontano dal brillante Battaglia dei tempi migliori. Vabbé, fare l'eretico solitario a tempo pieno deve essere dura, a lungo andare


http://www.ilgiornale.it/news/interni/cos-sono-passato-eretico-profetail-commento-2-954020.html

Così sono passato da eretico a profeta

di Franco Battaglia

Mi tocca fare l'antipatico, cosa che non mi costa fatica e mi riesce pure bene: 13 anni fa scrivevo su queste pagine che la causa antropica del riscaldamento globale non poteva che essere un grosso granchio (una bufala, scrisse il titolista). Il fatto è che i ghiacci in entrambi i poli, massime quello antartico, si stanno espandendo, è da 12 anni che le temperature globali hanno smesso di crescere, sull'aumento del livello del mare (circostanza in atto da 18mila anni) non si osserva alcuna accelerazione, i tornadi e gli uragani sono al loro minimo storico e, piaccia o no, anche la popolazione degli orsi polari è in aumento. Naturalmente quelli dell'Ipcc - che è un organismo politico mascherato da organismo scientifico - continuano col loro mantra, né possono fare altrimenti: dovrebbero restituire il premio Nobel (che, ricordiamo, fu dato loro non per la scienza ma, come si addice ad ogni soggetto politico, per la pace). Se vi chiedete perché mai la politica ha inteso costruire questo mega-inganno planetario, la risposta è: per attuare le politiche energetiche di promozione delle tecnologie eolica e fotovoltaica, che senza inganno mai sarebbero state prese in qualche considerazione. Per anni mi hanno trattato da eretico, ora i media cominciano ad aprire lentamente gli occhi. Perfino il buon Giovanni Sartori, dopo che per mezza dozzina di ferragosti ha tediato i lettori della prima pagina del Corsera con lo spettro delle venefiche emissioni di CO2, lo scorso agosto ha cominciato a ricredersi, manifestando una onestà intellettuale che è mio dovere riconoscergli visto che ne ho in cuor mio dubitato. Ricordiamo perché possiamo avere la certezza che le emissioni antropiche di CO2 non hanno alcuna influenza sul clima. Primo, il pianeta è stato più caldo di oggi nel periodo caldo medievale. Secondo, non da 100 anni (con l'industrializzazione), ma è da 400 anni che il pianeta si sta scaldando, perché sta uscendo dalla piccola era glaciale che ha avuto il suo minimo nel XVII secolo. Terzo, questo riscaldamento ha avuto un arresto tra il 1940 e il 1975, proprio in pieno boom demografico, industriale e di emissioni. Quarto, come già accennato, un altro arresto lo sta avendo da 12 anni, con le emissioni che hanno continuato a crescere esponenzialmente. Quinto, dei periodi caldi che il pianeta vive, interrompendo ogni 100mila anni la fase glaciale, questo nostro è, manco a farlo apposta, proprio il più freddo di tutti. L'Ipcc se ne faccia una ragione.



Saturday, September 28, 2013

Ode al bramoso cavaliere



Ode al bramoso cavaliere

E’ finito il tuo tempo cavaliere
in lusso ira nonché lussuria greve
in ronzino s’è mutato il tuo destriero
morto è il tuo stalliere losco
come il tuo mentore esiliato in Tunisia
pure se n’è andato all’altro mondo
Michi l’allegro tuo giullare
tradito t’ha il palafrenier tuo smilzo
stancato s’è il rauco tuo sodale
nessuno ti può far da paladino
non i tuoi valletti degradati a servi
le damigelle a belve declassate
ingorde di appannaggi e regalie
la tua  schiva e sovrana dama
lo sai che ormai t’ha ripudiato
sol di pecunio s’infoia la tua schiatta
quello che illuso credi popolo
è un’orda di suini avvezzi al truogolo
rassegnati abdica dal trono
che in fondo arraffasti con scaltrezza
riposa i glutei flaccidi in poltrona
esci dalla porta di servizio
sai che l’atrio e lo scalone può celare
fosche ombre e presenze assai più cupe
lascia il tuo maniero adesso
indulgente applaudirà il tuo volgo
datti al dondolo ed agli album
prima che le mura i merletti e il fosso
diventino un ignobile sepolcro.  

Marco Sclarandis

Thursday, September 26, 2013

Sempre Selene tu ispiri chi di quiete si nutre

D' una busta sul retro
l' infinito può stare
basta un umano che miri
il tremante d'astri bagliore
di Selene quello argenteo e mutevole
e calcoli come nessuna bestia sa fare
quanto spazio necessiti a quella miriade
di Soli e Terre in quel vuoto sospesi
un rombo ripiegato in rettangolo
recante sul fronte indirizzo
sul retro ch' il messaggio ha spedito
un francobollo che ha pagato il pedaggio
un riquadro in bianco lasciato
pochi simboli strusciati in  grigia grafite
mossi da astuzia di pollice indice e mente
e quello che sembra tutto ingoi e comprenda
a sua volta è intrappolato e ingabbiato
da un essere di sole dieci dita e due piedi.

Marco Sclarandis