Perché uno più uno
fa due ?
Sembra facile
rispondere a questa domanda, ma bisogna provarci per rendersi conto che facile
non lo è per niente.
E’ più facile
rispondere a questa domanda con un’altra, che è questa:
Se non facesse due
quanto farebbe ?
Da qui, dal “quanto
farebbe ? ” s’intuisce immediatamente che tutti, o quasi e, se non da sempre,
da tempo immemorabile sono d’accordo che uno più uno, sia equivalente a 1+1 e
che faccia due, ovvero 2.
E sono d’accordo per
il semplice e autoevidente fatto che se uno più uno fa due (1+1= 2),
allora funzionano a meraviglia
un’infinità di cose che altrimenti
funzionerebbero solo nella testa di tutti quanti, ma ognuno a modo suo.
In un mondo dove 1+1
non facesse due, solo la magia potrebbe funzionare.
E forse non sarebbe
nemmeno uno dei peggiori mondi possibili.
Nella realtà, in un
certo senso, anzi in molti sensi, 1+1 fa non solo 3 o quattro, o metà o
addirittura niente, tant’è che nei circuiti elettronici dei computer, succedono
proprio fatti del genere. Lì 1+1 può proprio fare ancora 1 oppure 0 (zero).
Eppure, un fatto,
più un fatto, più ancora un fatto, che insieme assommano a tre fatti possono
fare una cosa che corrisponde a decine di cambiamenti nella vita di miliardi di
persone, e per decenni interi.
Uno dei fatti è
l’esaurirsi delle fonti d’energia altamente concentrate e a basso costo
economico ma alto costo ambientale.
Altrimenti dette
fonti d’energia fossile e anche fissile, come l’uranio 235.
L’altro fatto è
l’impoverirsi di ogni genere di risorsa mineraria concentrata a basso costo
economico, e sempre ad alto costo ambientale, e ciò riguarda praticamente tutti,
ma proprio tutti gli elementi chimici esistenti in natura, dall’idrogeno fino
all’uranio, sebbene in entità differenti.
L’acqua, per
esempio, quella dolce, non è forse da considerare una risorsa mineraria sebbene
liquida?
E quella pura, fresca, chiara e dolce che Francesco Petrarca canta in uno dei suoi
celebri versi non sta forse diventando una merce contesa con clangore d’armi?.
Ecco allora che uno più uno, più uno, più uno, fa sì un trio, ma che che contiene
una tale pluralità di fatti che bisogna adoperare l’aritmetica in un altro modo
per capire che cosa sta accadendo al mondo.
Un terzo fatto è la pura e semplice impossibilità di far corrispondere tutto
il denaro che possiamo stampare a ciò che esiste realmente.
Sulla terra non esistono cento miliardi di uova di struzzo o di Fabergè.
Indipendentemente dai soldi che ci si può inventare per comprarle.
E basta aggiungere un altro fatto, la crescita, ancora di tipo esponenziale, della
popolazione umana per capire che il quartetto di fatti è un’orchestra
che sta cominciando a suonare una marcia macabra.
Per ora preferisco alleggerire i cupi pensieri con le antiche parole petrarchesche:
“Chiare, fresche et dolci acque,
ove le belle membra
pose colei che sola a me par donna;
gentil ramo ove piacque
(con sospir mi rimembra)
a lei di fare al bel fianco colonna;
erba e fior che la gonna
leggiadra ricoverse
co l'angelico seno;
aere sacro, sereno,
ove Amor co' begli occhi il cor m'aperse:
date udienza insieme
a le dolenti mie parole estreme.
S'egli è pur mio destino,
e 'l cielo in ciò s'adopra,
ch'Amor quest'occhi lagrimando chiuda,
qualche grazia il meschino
corpo fra voi ricopra,
e torni l'alma al proprio albergo ignuda.
La morte fia men cruda
se questa spene porto
a quel dubbioso passo;
ché lo spirito lasso
non poria mai in più riposato porto
né in più tranquilla fossa
fuggir la carne travagliata e l'ossa.
Tempo verrà ancor forse
ch'a l'usato soggiorno
torni la fera bella e mansueta,
et là ' ov' ella mi scorse
nel benedetto giorno
volga la vista disiosa et lieta,
cercandomi: et, o pieta!,
già terra infra le pietre
vedendo, Amor l'inspiri
in guisa che sospiri
sì dolcemente che mercé m'impetre,
et faccia forza al cielo,
asciugandosi gli occhi col bel velo.
Da' be' rami scendea
(dolce ne la memoria)
una pioggia di fior sovra 'l suo grembo;
et ella si sedea
umile in tanta gloria,
coverta già de l'amoroso nembo.
Qual fior cadea sul lembo,
qual su le trecce bionde,
ch'oro forbito et perle
eran quel dì, a vederle;
qual si posava in terra, e qual su l'onde;
qual, con un vago errore
girando, parea dir: Qui regna Amore
Quante volte diss'io
allor pien di spavento:
Costei per fermo nacque in paradiso.
Così carco d'oblio
il divin portamento
e 'l volto e le parole e 'l dolce riso
m'aveano, et sì diviso
da l'imagine vera,
ch'i' dicea sospirando:
Qui come venn'io, o quando?;
credendo esser in ciel, non là dov'era.
Da indi in qua mi piace
questa erba sì, ch'altrove non ho pace.
Se tu avessi ornamenti quant' hai voglia,
poresti arditamente
uscir del bosco e gir in fra la gente.”
Uno più uno, quando non fa due, può fare tutto ciò che è possibile.
Questa è la dittatura dei fatti, e anche dei misfatti.
Marco sclarandis