Sepolti nelle tragedie, ci sono sempre giacimenti enormi di comicità.
Però se non fosse per questi giacimenti la genìa umana non sarebbe sopravvissuta fino ad oggi.
La storia raccontata in questo post di Dario Faccini mi ha illuminato al riguardo.
Non possiamo abbandonare di colpo i combustibili fossili.(nemmeno quelli fissili).
Non li possiamo usare tutti tutti fino al loro esaurimento.
Non ci decidiamo a fare quello che servirebbe ad uscire da questo dilemma, come si diceva una volta, alla chetichella o all'inglese.
Non vorremmo pagare il prezzo, seppure via via più esoso, per entrare in un mondo non così dipendente da queste risorse.
Ma accumuliamo debiti d'ogni genere per mantenere un modus vivendi da Principi rinascimentali.(debosciati, però)
Sempre mi viene in mente Ennio Flaiano:
"La situazione è grave, ma non seria".
Marco Sclarandis
Da:
https://aspoitalia.wordpress.com/2015/03/15/fracklog-il-petrolio-che-rimane-dove/#more-1569.
Fracklog, il petrolio che rimane dov’è.
Tremila pozzi perforati che non
producono una sola goccia di petrolio. E’ il “fracklog”, una strategia
di sopravvivenza per le compagnie USA attive nel fracking.
Di Dario Faccini
Una questione di vita o di morte
Da quando il prezzo del barile è
crollato, le compagnie USA che estraggono il petrolio mediante la
fratturazione idraulica (fracking) devono gestirsi sul filo del rasoio:
da una parte il debito crescente, dall’altra la prospettiva di vendere
il petrolio sottocosto.
E così sono corse ai ripari. Innanzitutto
hanno “rimodulato” le strategie di investimento per 2015, tagliando
generosamente i propri budget di spesa di almeno
100 miliardi di dollari.
Contemporaneamente hanno anticipato la chiusura di impianti di
perforazione(rig) in zone marginali, giunte ormai a fine vita, dove la
bassa produzione non giustificava più i costi operativi. Tutto questo ha
avuto un impatto pesante sul numero di impianti di perforazione attivi
negli USA, con un crollo del 40%.
Numero di impianti di perforazione attivi (in blu) e produzione di petrolio giornaliera (in arancione) negli USA.
Da osservare come la produzione
petrolifera abbia però continuato ad aumentare a causa dell’inerzia nel
sistema, e ci si attenda che possa proseguire nella crescita ancora per
qualche mese prima di piegarsi all’ingiù.
Un’ulteriore strategia di sopravvivenza
ha incluso la rinegoziazione dei noleggi per le attrezzature di
trivellazione che vanno accumulandosi inoperose nei piazzali. Solo da
queste operazioni si prevedono riduzioni dei costi di trivellazione e
fratturazione
intorno al 20%.
Infine, c’è un’altra strategia classica per massimizzare il profitto.
Il petrolio con consegna più lontana nel
tempo sta spuntando sul mercato dei ‘future’ petroliferi un prezzo
maggiore di quello a consegna nei prossimi mesi (una conformazione della
curva dei prezzi future chiamata contango). Ciò rende
conveniente pagare il noleggio dei grandi stoccaggi commerciali per
immagazzinarvi il petrolio e venderlo subito emettendo un future con
consegna più ritardata, e quindi a maggiore prezzo, oppure ritardare la
vendita nella speranza che nel frattempo il prezzo di quel future
aumenti ancor più.
Queste prassi, ampiamente in uso in
questi mesi negli USA, contribuiscono a ribilanciare l’incrocio
domanda-offerta nell’immediato mettondo però sotto pressione le capacità
di stoccaggio ed inducendo un forte aumento del livello delle scorte,
ora ai massimi da 80 anni.
Il fracklog
Questo giochino del “te lo vendo dopo”,
già visto in passato, sembra che con il fracking stia assumendo una
nuova dimensione: il fracklog.
La messa in attività di un pozzo mediante la fratturazione idraulica è un’attività che si può dividere in due fasi ben separate.
- La perforazione orizzontale dello strato di rocce a bassa permeabilità che contengono il petrolio.
- La fratturazione della roccia
mediante l’iniezione ad alta pressione di acqua, sostanze chimiche e
sabbia. Questa fase ha bisogno di personale e attrezzature separate
dalla fase precedente, e può arrivare a pesare per ben i due terzi sui costi totali.
E’ solo in seguito alla seconda fase che
il pozzo può produrre petrolio, tipicamente con rapido tasso di declino,
quindi con una produzione spostata per lo più nei primi mesi.
Nelle attuali condizioni di mercato, per
le compagnie può essere allora conveniente terminare la fase 1, magari
già iniziata, e ritardare la fase 2 nella speranza che nel frattempo si
verifichi un rialzo dei prezzi del barile. Ciò comporta complessivamente
un accumulo di pozzi non fratturati che potranno poi essere completati
e messi in produzione all’occorrenza nell’arco di soli tre mesi. Questo
è il
fracklog, un termine coniato da
un recente articolo su bloomberg che deriva dall’unione di
fracking e
backlog, ad indicare la quantità inevasa/arretrata di pozzi che devono ancora essere sottoposti a fratturazione.
Il vantaggio del fracklog per le
compagnie è duplice: nel breve termine si abbattono i costi operativi
mentre nel medio si migliorano i guadagni.
Il fracklog è una nuova possibilità a
disposizione solo delle compagnie attive nel fracking, poiché
nell’estrazione del petrolio convenzionale i profili di declino dei
pozzi sono molto più morbidi e la loro perforazione avviene in un’unica
fase che rappresenta la quasi totalità dei costi operativi.
A tutti gli effetti la strategia con cui
le compagnie impiegheranno questi pozzi per massimizzare il loro
profitto, e l’intrinseca velocità con cui potranno essere resi
operativi, rende il fracklog una possibilità di stoccaggio del petrolio
direttamente nella roccia a costi ben inferiori ad uno stoccaggio
tradizionale.
Secondo Wood Mackenzie e RBC Capital
Markets negli USA ci sarebbero ben 3000 pozzi non completati, ognuno dei
quali potrebbe produrre inizialmente circa 750-1000 barili al giorno.
Quest’ultimo dato appare però
decisamente troppo ottimistico:
il profilo medio di produzione dei pozzi a olio del Bakken inizia con
550barili/giorno nel primo mese al terzo è già a 350barili/giorno; per
l’Eagle Ford sugli stessi tempi si ha 300barili/giorno e
230barili/giorno. Una stima conservativa sui primi tre mesi di
produzione per tutti i pozzi ora in attesa di fratturazione potrebbe
allora oscillare complessivamente intorno al milione di barili/giorno,
per un volume rilasciato di 90 milioni di barili. Per dare un’idea
questo volume rappresenterebbe circa il 130% della
capacità di stoccaggio presente a Cushing (in
Oklahoma, il punto di consegna dei contratti future sul WTI) oppure il
20% di tutti gli attuali stoccaggi commerciali di greggio negli USA. Un
volume di petrolio ‘stoccato nelle rocce’ decisamente imponente.
Gli effetti
Il petrolio estratto con il fracking, il
Light Tight Oil (LTO, petrolio leggero da rocce compatte) dimostrerebbe
così di avere una produzione più flessibile del greggio convenzionale:
in grado di rallentare più rapidamente in risposta ad un calo dei prezzi
(costituzione del fracklog), ma anche di tornare più rapidamente a
crescere in pochi mesi (completamento dei pozzi non fratturati).
A livello di mercato, questo dovrebbe:
- portare più rapidamente al
ribilanciamento tra domanda e offerta di petrolio, con l’eliminazione
dell’attuale sovracapacità (che è stata costituita, non scordiamolo, con
10 anni di alti prezzi del barile);
- pesare successivamente sui prezzi del
barile, con parte della produzione attesa per quest’anno che sarà
spostata avanti anche di molti mesi.
L’effetto complessivo potrebbe essere
quindi quello di una tendenza all’ammorbidimento delle ampie
oscillazioni di prezzo dei mercati petroliferi dovute allo sfasamento
dei cicli di produzione e di investimento nell’estrazione tradizionale
di greggio.
Al di là di questo effetto
‘anti-volatilità’, non dovrebbe esserci un’influenza sostanziale a medio
termine sui volumi di greggio prodotti negli USA con il fracking, se
non forse in senso leggermente negativo: potendo contare su una “scorta”
di pozzi non fratturati, è ragionevole supporre che le compagnie attive
nel fracking saranno probabilmente indotte al tagliare gli investimenti
in nuove perforazioni oltre alle attuali attese del mercato.
Analogamente sembra poco probabile che
possa esserci un’influenza sostanziale sui volumi petroliferi prodotti
globalmente nel medio termine, e in particolare sulla possibilità di
ribilanciare le future perdite di produzione indotte dall’attuale calo
di investimenti. Per il settore petrolifero
si vocifera di un taglio globale di 1000 miliardi di dollari nei prossimi due anni.
Da questo punto di vista sembra funzionare bene
la strategia messa in campo dai paesi Sunniti Opec
del Golfo Persico dalla fine di Novembre 2014: fracking o no, la
decisione di non tagliare la produzione OPEC e quindi non sostenere il
prezzo del barile sta riducendo rapidamente gli ingenti investimenti
petroliferi necessari a mantenere globalmente la produzione al passo con
la domanda nei prossimi anni.
Il mercato petrolifero sta così entrando
in un “new normal” dove i ciclici periodi di sovracapacità produttiva e
bassi prezzi si accorciano a favore dei periodi di scarsità e prezzi
elevati.
Con buona pace di chi, guardando il
grafico del prezzo del petrolio dell’ultimo anno, si affanna a
dichiarare morto il picco del petrolio.
P.S. per i link in colore basta andare su:
https://aspoitalia.wordpress.com/2015/03/15/fracklog-il-petrolio-che-rimane-dove/#more-1569.