"Guida rapida per i cosiddetti esperti petroliferi"
http://www.ugobardi.blogspot.it/2015/05/guida-rapida-per-i-cosiddetti-esperti.html
Questo articolo di Antonio Turiel mi ha ispirato queste considerazioni:
Dismisura*.
Questa mi sembra la parola che sta alla radice della situazione inequivocabilmente catastrofica in cui ci troviamo.
E la dismisura sta sia nel troppo poco come nel troppo.
Si può discutere per anni sulla quantità e qualità dell'energia e delle materie prime seconde e terze di cui avremmo bisogno per vivere, perchè ciò che viene condiderato vivere per qualcuno è per qualcun altro un mero sopravvivere.
Siamo in troppi? O pretendiamo troppo? O peggio la combinazione esponenziata delle due cose? ( quindi peggio che la loro somma o moltiplicazione)
Se, e credo che più che un "se" sia un "certamente" il petrolio, quei mille miliardi di barili finora impiegati, ci hanno via via drogato nell'arco di un solo secolo e mezzo, come ha mirabilmente ipotizzato Nate Hagens in un suo articolo di anni fa, allora è arrivata la crisi d'astinenza.
E comunque, nemmeno l'energia rinnovabile e la perfetta chiusura di ogni cerchio, come direbbe Barry Commoner, possono salvarci dalla nostra natura.
Il bisogno spirituale cui fa accenno Paolo 14 maggio 2015 10.46 credo che sia quello di conciliare la consapevolezza della finitezza dell'esistenza con il desiderio di vita almeno perenne, se non eterna.
Detto questo, e non è certo una novità, il più, il di più, che ormai è diventato un troppo, un mostruoso ecceso in ogni ambito, crea soltanto perdite disastrose dovumque.
Una di queste è la tanto declamata biodiversità, ovvero quell'insieme "d'infinite forme bellissime" di cui ora ne vive sulla terra un centesimo di quelle comparse all'inizio della vita terrestre, e che entro questo secolo potrebbe essere più che dimezzata.
Noi umani siamo forse fuori dalla Natura?
Non credo proprio, anzi siamo l'eccesso degli eccessi della Natura stessa.
Siamo qui da poco tempo, ma misurare il tempo in anni potrebbe essere sbagliato nel nostro caso.
Se lo misurassimo in "spazio dell'immaginazione" di cento miliardi di esseri come noi, tale è la stima dell'Homo fatto come noi o molto simile finora vissuti, questo spazio sarebbe immenso.
E forse occorrerebbe un universo come quello osservabile per contenerlo.Anzi, un arso vivo quale fu Giordano Bruno osò pensare che forse non sarebbe bastano neanche.
Ma siamo qui, stipati sulla superficie d'un pianeta dove ormai abbiamo pro-capite soltanto un grosso cortile di terraferma ed abitabile.
Questa mi pare la dimensione anzi la pluridimensione dell'epoca che stiamo vivendo.
Noi siamo dismisura incarnata.Da millenni e millenni e millenni.E l'abbiamo sempre saputo.
Se è così, può anche essere che Madre e Matrigna e Madonna Natura, ora che abbiamo raggiunto il confine invalicabile se non con la morte, abbia per noi in serbo qualche stupefacente soluzione.
Eugenio Finardi** scrisse una memorabile canzone a proposito, e decenni fa ormai, ma quei "Dove sono tutti quanti"***, appunto dove sono?.
Io credo che siamo noi stessi medesimi appena cerchiamo di vederci come ci vede un altro.
Da qui possiamo di volta in volta trovare una misura esatta, il nè troppo, nè troppo poco, quel giusto abbondante di cui abbiamo un disperato bisogno.
Hybris - Wikipedia
*Hybris (ˈhyːbris, in greco antico ὕβϱις, traslitterato in Ýbris) è un topos (tema ricorrente) della tragedia greca e della letteratura greca, presente anche nella Poetica di Aristotele. Significa letteralmente "tracotanza", "eccesso", "superbia", “orgoglio” o "prevaricazione".
Nella trama della tragedia, la hýbris è un evento accaduto nel passato che influenza in modo negativo gli eventi del presente. È una "colpa" dovuta a un’azione che vìola leggi divine immutabili, ed è la causa per cui, anche a distanza di molti anni, i personaggi o la loro discendenza sono portati a commettere crimini o subire azioni malvagie. Al termine hýbris viene spesso associato, come diretta conseguenza, quello di "némesis", in greco νέμεσις, che significa "vendetta degli dei", "ira", "sdegno" e che quindi si riferisce alla punizione giustamente inflitta dagli dei a chi si macchia di tracotanza. Degno di nota è persino il concetto relativo all'"invidia degli dèi" (in greco ο φθόνος των θεών). In molte tragedie, infatti, essa costituisce lo sviluppo narrativo che porta come conseguenza al commettere un atto di hýbris e, di conseguenza, essere uno hýbristes ossia colpevole di tracotanza. Questa "colpa" ha origine nella natura umana come anello mancante tra le bestie e le divinità. In senso pratico, quindi, l'uomo ha l'imperativo di non cercare di rendersi "divino" così come avvicinarsi ad una condizione animalesca. In entrambi in casi si può incorrere nel peccato di hýbris. Questo è ciò che accade, ad esempio, nel racconto di Icaro, colpevole di aver voluto cercare una condizione di sola prerogativa divina (ossia l'essersi costruito delle ali di cera per volare) e successivamente punito dagli stessi dèi, poiché macchiato appunto del peccato di hýbris.
Il tema ricorre spessissimo nella Divina Commedia di Dante Alighieri in ottica cristiana; qualsiasi peccato può essere ricondotto alla hybris dell'uomo, che tenta di arrivare con la ragione a comprendere i misteri del divino, ponendosi egli stesso come Dio.