Tragedia greca
Quando sarà passata l’euforìa
del referendum, dove hanno vinto i no alle proposte dei creditori della Grecia per
risanare il suo debito, ricomincerà la farsa che riporterà
prima alla commedia, poi di
nuovo al dramma e infine ad una nuova tragedia.
A meno che, il popolo greco,
che di opere teatrali se ne intende e da lungo tempo,
non insceni uno spettacolo
che da decenni alcuni oracoli hanno augurato all’umanità intera, ma che essa ha ottusamente rifiutato di rappresentare.
Di che cosa può vivere un
popolo stanziale su di una terra che potrebbe ospitarne uno dieci volte più
piccolo?.
Di commercio, naturalmente,
ma il commercio su che cosa si fonda?
“Sulla merce” !
direbbe Monsieur de Lapalice.
Ed è qui che molti asini
cascano, appena si accorgono di non essere dei Pegasi alati.
Che la merce procuri denaro è
una cosa buona e giusta, ma che il denaro procuri la merce è una cosa infida e
pericolosa.
Per il semplice fatto che il
denaro è un simbolo, mentre la merce è roba.
La roba non è necessariamente
tangibile, misurabile e quantificabile, perché chi sa parlare correntemente
sette lingue non pesa necessariamente di più di chi ne parla solo una, né è più
alto di statura, né vale una somma di denaro che è possibile stabilire in modo
univoco.
Finchè il denaro era coniato
in monete di metallo più o meno raro e pesante, esso aveva una ragionevole
identità con la roba, ma quando le banconote hanno preso il sopravvento è
iniziata un’epoca dove gli esseri umani hanno cominciato a credere d’essere
Dei di un Olimpo.
Dei di un Olimpo.
Alcuni
più di altri, ovviamente.
Se un tizio qualsiasi riesce
a convince la gente qualunque che un pezzo di carta
con la sua firma apposta in
seguito ad una promessa, vale quanto una pagnotta
o una villa sulla scogliera,
il gioco è fatto.
Purtroppo il mortale che s’è
fidato incautamente, rischia di non ottenere né la villa e nemmeno la pagnotta, e
se è proprio ingenuo oltre ogni rimedio, di dover lui stesso fornire, anzi
infornarne una e sentirsi dire che è solo per misericordia dell’olimpico tizio
che non sarà costretto a sgobbare per un tozzo di pane, nella villa di lui, fino
alla consunzione.
Ecco perché il denaro è
pericoloso anche più delle sostante altamente psicòtrope.
Perché ne è la quintessenza
stessa.
Perché con una ingannevole
facilità riesce ad illudere quasi tutti che tutto sia reversibile ed
interscambiabile, creabile e ricreabile illimitatamente, cosa che è falsa nel
modo più assoluto.
E’ solo una stupefacente
apparenza che le cose del mondo lo siano.
Proprio un greco disse “Panta
Rei” , tutto scorre, con tutte le implicazioni che questa frase contiene.
Ed una di queste, una delle
più importanti, è che tutto si trasforma, e che trasformatosi, solo una parte
sarà com’era prima, e che nulla si trasforma indipendentemente da tutto il
resto.
Il denaro, che potrebbe anche
fare a meno della carta per esistere, se la parola data fosse più solida del
più solido dei metalli pesanti, non sfugge a questa ineluttabile caratteristica
del mondo intero.
Chi se ne dimentica è un
imbecille, un pazzo o un malvagio, e a volte anche le tre cose insieme.
Allora, che cosa può
scambiare la Grecia,
anzi il popolo greco, con il resto del mondo per vivere sulla sua terra, senza
suscitare ira ed invidia in chi ne abita un’altra?.
Oggi, non nel mitico passato,
oggi che tutta la Terra abitabile è abitata e che tutto quello che toccano i
vari Re Mida diventa merce destinata a finire in spazzatura in pochi minuti, o
poche ore o se va bene, ma proprio bene, qualche anno?.
Se l’Ellade ha qualcosa da
dirci che non ha prezzo, ma inestimabile valore,
è che ogni cosa ha un suo
limite intrinseco, e che la dismisura porta alla morte anticipata ed ingloriosa,
nella maggior parte dei casi.
Quanto vale questo
insegnamento?
C’è qualche ragioniere che
saprebbe tradurne il valore nelle valute in corso sul pianeta terra?.
C’è ma forse dovrebbe fare un
pellegrinaggio a Delfi, per dare una risposta sensata.
Marco Sclarandis.