Saturday, October 1, 2016

Quanta vita vegetale



Quanta vita vegetale
incapsulata in tre chili di borlotti
ogni baccello con due o più gemelli
qualcuno fagiolo nato unico
qualcun'altro nato prematuro
ed anche storpio e morto
mentre li sguscio tutti
immagino il campo che li aspetta
ma non qui non su questa Terra
perché una pentola li attende
ed ecco l'inatteso essere divino
rannicchiato morbido indifeso
vivente simbolo d'ogni metamorfosi
t'ho preso ed alloggiato
sotto vetro di cibo foraggiato
in una settimana tre fagioli
forse trenta prima che diventi pupa
divorerai lasciando strame
alata creatura io ti aspetto
con te prenderò il volo
con ali ritagliate da una seta
più leggera dell'autunnale bruma.




Marco Sclarandis

Thursday, September 29, 2016

Ciò che ci dice un algoritmo

Il profumo d'una fragola
credo possieda il proprio inverso
ma non so se sia la violetta
il gelsomino il nespolo o la zagara
possiamo vederlo l'intreccio di molecole
che incanta di noi l'olfatto

guardarlo come da mano un guanto
di dama sfilato e rivoltato
ed annusare quel profumato specchio
ma ciò che ci dice un algoritmo
quello che un logaritmo svela
possiede più di un anagramma
solo parole dettate dalla musa
possono rivelarcelo.



Marco Sclarandis

Friday, September 23, 2016

E noi ora lo sappiamo



Qual é il miracolo
dove sta il prodigio
dal nulla dallo zero
ricavarne l'uno
o il due da questo 
per riproduzione
questa è per noi magìa
ma dopo diventa l'artificio
allora cos'è stato più difficile
non lo sai non lo puoi dire
noi non lo capiremmo
nemmeno se ce lo spiegassi
ma Tu hai tratto dal vuoto il pieno
o dal pieno hai estratto fino
a produrre l'assoluto vuoto
e noi ora lo sappiamo.

Marco Sclarandis



Dobbiamo ispirarci alle cicale



Dobbiamo ispirarci alle cicale
che per evitare risse per i pranzi
le assemblee le feste per la prole
divergono in due tribù per compleanno
un dodicesimo di dodici più dodici
festeggia una generazione nuova
l'altra una dozzina e mezza meno uno
ma entrambe da larve in attesa sotterranea
hanno avuto santissima pazienza
così due secoli un ventennio ed un anno
trascorrono prima che s'incontrino.
per poi prima di finire in terra muta
cantare l'euforia l'ebbrezza la libidine
della fruttifera fatale estate.

Marco Sclarandis

Wednesday, September 21, 2016

Cercando appigli veleggiando



Siamo quell'ago quello spillo
cruna capocchia punta e stelo
incontratisi con un palloncino
gonfio di magma più che d'elio
e dalla crosta tremula e friabile
nani dal gigante ego sulle spalle
di legioni di semplici antenati
è ora della metamorfosi
l'era del caucciù del ferro
dell'olio torchiato dalle pietre
può solo darci ruggini
dobbiamo imitare i pappi
con i loro veleggianti semi
senza perdere i delicati artigli
per trovare appiglio in nuove terre.

Marco Sclarandis

Wednesday, September 14, 2016

Di quante foto abbisognamo?

Di quanti amici abbiamo bisogno?
Sottotitolo: Frivolezze e curiosità evoluzionistiche.
Robin Dunbar, antropologo dell'università britannica di Oxford, con questo saggio ci dice quanto sia importante l'amicizia ed entro quali limiti può svilupparsi.
Tant'è che esiste il numero di Dunbar, ma vi lascio il piacere della scoperta.
Comunque, Robin insieme a Guido, un giovane ma ormai veterano controllore di volo di Linate mi hanno ispirato questo post.
C'è anche una terza persona, il mio amico Bruno, di Chieti che ha partecipato a questa ispirazione.
Inoltre, dedico il tutto a mio fratello Piergiorgio, passato recentemente ai piani alti o altri, a seconda di come ci s'immagini l'aldilà.
Ma ad essere sincero, l'intreccio di relazioni emotive che sottostà a questa ispirazione assomiglia più ad un fitto feltro indipanabile del quale sarebbe quasi impossibile contarne le fibre, ed ognuna di esse è una persona più o meno profondamente amica.
E le foto? (grafie) che cosa c'entrano?
Mi sembra che sia una domanda pleonastica visto che miliardi di fotografie sono state fatte proprio per ritrarre amici e da una foto scaturiscono o defungono amicizie durevoli anche una vita intera.
Ma appunto, come mai il numero di Dunbar è di sole tre cifre, e ormai con la fotografia digitale arriviamo quasi a scattare quotidianamente con numeri a tre cifre, che vuol dire da 1 a 999 scatti.
Anche solo dieci scatti al giorno fanno un album annuale che nessuno sfoglierà mai per intero.
Prima dell'orgia e dell'orda digitale, il costo e la lentezza del processo fotografico mettevano un limite
stretto alla smania di fermare l'attimo fuggente, fulgente o futile che fosse.
Ora facciamo selfie ed a bizzeffe, cosa che si é sempre fatto ma con il contascatti, parente stretto del
contagocce.
Allora di quante foto abbiamo davvero bisogno per placare la fame del divoratore di figli, Cronos?
Potrei annoiarvi esponendo numeri speciali, ma voglio solo ricordare che una breve catena di conti
porta vedere che la fotografia é animata dal calcolo combinatorio, che se fosse un cavaliere medievale
avrebbe sullo stemma e sullo stendaro tre lettere, ed un punto esclamativo.*
Sovente basta una sola fotografia per ricostruire un'intera vita.
Perché  arriviamo a scatenarci facendone una quantità sovrabbondante?
Oltre un certo limime, stimabile con una ragionevole accuratezza, tutte queste immagini producono oblio irrimediabile invece che struggente e sacra memoria.
Una umile scacchiera contiene intrinsecamente 18.446.744.073.709.551.616 immagini diverse,
se fosse trasformata in pixel. Ed in bianco e nero.
Si fa in fretta, si fa per dire, a calcolare quante immagini potrebbero comparire su di uno schermo
da sedici milioni di colori e sedici milioni di pixel.
Da questo punto in poi comincia il volo pindarico che porta verso le irraggiungibili vette della potenza del'ars combinandi**.
Come le parole sono o possono diventare pietre, le immagini ormai sono numeri.
Numeri interi enormi, ma pericolosamente inclini a diventare giganteschi.
E non esiste un numero che non sia interessante, per un motivo logico facilmente intuibile.
Forse é anche per questo motivo che siamo afflitti almeno potenzialmente, da questa ossessione per lo scatto.
E siamo disposti a pagarne lo scotto in termini di tempo sciupato, sciupato con il senno di poi, quando ci ritroviamo flashmemory zeppe di inquadrature di cui non ci viene più in mente nemmeno di averle mirate.
E a questo punto mi viene da chiedere:
Oltre che Grande Architetto, sarà anche Sommo Fotografo, Quello Lì.
E dove lo tiene l'archivio?
Lo tiene in ordine o la sua è una galattica soffitta colma di bauli polverosi dove già entrarvi mette sconforto?
un versetto biblico recita:
"Il volto di Dio non l'ha mai visto nessuno":
Amen


* π n! e (pi greco,  n!, il simbolo che rapresenta la moltiplicazione di tutti i numeri interi naturali, 
ed "e", il numero di Eulero: 2,718281828  4590452353602874713526624977572 47093 69995 95749..........solo le prime 55 cifre.
(da notare l'incredibile ordine delle prime sedici cifre 2,7 1828 1828  459045........)

**http://www.chierotti.net/kircher/tesi/libro_04.php

Marco Sclarandis


Tuesday, September 13, 2016

Il quintessente condensato



D’ogni vita estrarne il logaritmo
di questo  fare lo stesso
per dieci volte ancora
avere così sul mignolo
il quintessente condensato
come con un francobollo
i suoi dentelli la sua colla
l’inchiostro del suo timbro
la filigrana l’immagine il valore
la sua patria emettitrice
la data della stampa e della posta
in pratica di carta un capace seme
di mani in menti di fruttificare
non serve molto altro
per togliere all’oblio le grinfie
dal nostro breve transito terreno.

Marco Sclarandis

Saturday, September 10, 2016

No Cesare, dal vortice riemergeremo










Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.

Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

Cesare Pavese 

 Marco Sclarandis

Tuesday, September 6, 2016

Potremmo fare nuova ogni cosa




Potremmo fare nuova ogni cosa
partendo dal fondo del tempo
smussando l'angolo retto
premendo cerchio in ellisse
fare d'aracnide angelo
dandogli elitre ed ali
da frammento cesellare cameo
da noi estrarre un unguento
che lenisca la malinconia
da ruggine distillare rosolio
per berlo nei giorni di nebbia
perché facciamo tutt'altro
scostando del futuro coperchio
per piangere poi di rimorso
perché perché perché lo facciamo. 

Marco Sclarandis

Dedicata ai futuri architetti*



A vedervi così tutti quanti insieme
equilibristi su due ruote mosse
da colazioni svelte e voglia di scoperte
viene alla mente il sogno del ritorno
al luogo dove i due primi avi
davano a tutto il nome senza remore
tremenda nostalgia ci prende
ma voi prodighi figlioli voi potete
prendere i ruderi le macerie
le città incompiute di ratti e rovi prede
e renderle reggie di Salomoni degne
e ancora di padri rimettere peccati
di viltà d’orgoglio di grandezza
svegliate chiunque con i vostri campanelli
miagolate come gatti innamorati
con il chiasso sfrontato dei vent’anni
che l’ottundersi nella sorda invidia
proprio non serve a niente.

* In particolare quelli del Pescara summer school 2016

Marco Sclarandis

Thursday, August 25, 2016

Sovrannaturale sussurìo cifrato







                                  

Marco Sclarandis

Scuotiti gente d'Appennino

Scuotiti gente d'Appennino
prima che lo faccia la tua terra
irrequieta imprevedibile a te simile
e proprio perciò bella
non puoi dormire beata nella tua dimora
devi sonnecchiare di felino sonno
fino a che con astuzia
non hai messo solai e mura nella gabbia
non ti ha punito la spietata faglia
avvertito solo che il castello
il bastione il campanile il portico
solo se come piramide tozza fatto
resiste alla sua saltuaria furia

altrimenti esige raffinato ingegno
pianti i sepolti e gli avviliti
riedifica la casa riapri la cucina
quel sugo da amatori maschi e femmine
deve inebriarci come prima.


Marco sclarandis

Faglie appenniniche e foglie di fico edilizie

Riporto due articoli che spero allontanino dai soliti piagnistei che accompagnano queste evitabili catastrofi.
Ed avvicinino invece le possibili soluzioni preventive.

http://www.lastampa.it/2016/08/25/italia/cronache/friabili-e-vecchie-di-un-secolo-le-case-che-cedono-al-sisma-HTAb4PJKAxJTQgsYJGZD9I/pagina.html

Friabili e vecchie di un secolo: le case che cedono al sisma
Già spesi 180 miliardi per i disastri. Per un’Italia sicura ne basterebbero 100
Di Andrea Rossi

L’Italia che crolla spesso è costruita sulla roccia. E con la roccia. Quasi tutto l’Appennino rurale corrisponde a questo spaventoso identikit. E così è per Amatrice, Accumoli, Arquata del Tronto, sventrati dal sisma dell’altra notte: edificati su affioramenti rocciosi, quando delle leggi antisismiche nessuno si occupava. 

 L’età delle costruzioni e i materiali utilizzati sono il marchio di questo pezzo d’Italia andato in frantumi. Secondo il censimento del patrimonio abitativo, realizzato dall’Istat nel 2011, il 14% degli edifici risale a prima del 1919, il 10% è antecedente la fine della seconda guerra mondiale, il 36% appartiene agli anni del boom (1946-1971), il 26% risale a dopo il 1982. Ad Accumoli no: il 60% delle 292 case è stato costruito prima del 1919. E ad Amatrice, su 1.301 fabbricati in piedi fino all’altra notte, 498 risalivano a prima della Grande Guerra e altri 156 a prima del 1945. Arquata del Tronto replica il canovaccio: il 42% di ciò che c’era (691 fabbricati) esiste da almeno un secolo.

Da queste parti il calcestruzzo armato è merce rara. L’80% delle case e degli edifici pubblici è realizzato in muratura (la media italiana è il 60%). Non sarebbe di per sé un problema se non fosse che qui muratura vuol dire calcare, oppure ciottoli, con appena un po’ di malta di calce. Il risultato? «Spesso le murature sono scarsamente collegate tra loro», spiega Andrea Manzone, ingegnere strutturalista. «La facciata è poco “legata” ai muri perimetrali e la struttura si comporta poco come una scatola: l’effetto è che le pareti si allontanano facendo cadere i solai e provocando il crollo completo dell’edificio».

 «Tutto l’Appennino rurale è fatto così, da questo punto di vista il terremoto di ieri non ci rivela niente di nuovo», spiega Gian Michele Calvi, uno dei massimi esperti italiani in fatto di terremoti, docente all’Università di Pavia. L’Appennino è il cuore dell’Italia che trema: in media una catastrofe ogni cinque anni. Sulla direttrice Rieti-Ascoli c’è però qualcosa di più. Una storia che parla: non c’è Comune, in questa terra tra il Gran Sasso e i monti Sibillini che negli ultimi mille anni non abbia vissuto intensità macrosismiche inferiori al decimo grado della scala Mercalli, vale a dire scossa «completamente distruttiva», un gradino sotto «catastrofica» e «apocalittica».


Conviviamo con un patrimonio edilizio vecchio ma soprattutto maltenuto. Nel 2012 la Camera ha istituito una commissione d’indagine sulla sicurezza sismica. Della relazione finale non c’è traccia, ma nel corso delle audizioni sono emersi particolari preoccupanti: ad esempio 6 milioni di edifici su 27, in Italia, sono in cattivo stato di conservazione. In parte sono i più vecchi, ma una fetta consistente coinvolge il boom del dopoguerra, quando si passò da 35 a 80 milioni di vani abitativi. Un edificio su quattro risalente a quell’epoca è ammalorato, tanto che alcuni anni fa Aldo Loris Rossi, professore di Progettazione architettonica all’Università di Napoli, ha lanciato una proposta drastica: «Rottamare la spazzatura edilizia post-bellica, 40 milioni di vani, costruiti tra il 1945 e il 1975, senza qualità, interesse storico ed efficienza antisismica. Molti interventi sono stati eseguiti malamente, o hanno caricato strutture già esistenti. Questa crescita è avvenuta in maniera impropria, per questo dico che ogni fabbricato dovrebbe avere una carte d’identità». «È una battaglia che portiamo avanti da anni», racconta Bernardino Chiaia, ordinario di Scienza delle costruzioni al Politecnico di Torino. «Gli edifici andrebbero sottoposti a verifica sismica, peccato che la proposta abbia trovato i principali oppositori nelle associazioni dei proprietari di immobili. Temevano fosse una nuova tassa sulla casa».

 Così, senza verifiche né censimenti, il patrimonio è andato in malora. E, insieme con le case del 1900, ad Accumoli è andata giù la caserma dei carabinieri e ad Amatrice l’ospedale è inagibile. Entrambi sono ben più recenti. «Purtroppo in queste zone nessuno investe perché si stanno spopolando», dice il professor Calvi. «Dunque non è sorprendente che crollino le case. La cosa che fa scalpore sono gli ospedali, le caserme».

 Dopo il terremoto del Molise, nel 2002, che si portò via 27 bambini e una maestra, si decise che era troppo: la Protezione civile avviò la mappatura degli edifici strategici (ospedali, caserme, municipi) a rischio sismico. La ricognizione è sostanzialmente terminata, ma non si è andati oltre: servirebbero 10-15 miliardi, circa il 10% del totale stimato per la messa in sicurezza di tutto il patrimonio (pubblico e privato) a rischio sismico. E ce ne vorrebbe un’altra decina per mettere in sicurezza 24 mila scuole.

 «È una questione di scelte», dice Calvi. «Spendere tre miliardi l’anno per i danni post sisma o investire la stessa cifra per la prevenzione?». Secondo l’Ance, l’associazione dei costruttori, dal 1968 a oggi sono stati spesi 180 miliardi (attualizzati) per i disastri causati dai terremoti. Ricostruire un chilometro quadrato costa tra 60 e 200 milioni. Con 100 miliardi si sarebbe rimessa in sesto tutta l’Italia.
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A completamento.................

http://www.lastampa.it/2016/08/25/italia/cronache/dallantica-roma-la-maledizione-della-faglia-appenninica-3B9y1EUg1OQJ66UE0c3WJK/pagina.html

Dall’Antica Roma la maledizione della faglia appenninica

Agisce fra l’Umbria e la valle del Tevere fino a 20 km di profondità. Il tipico terremoto italiano: magnitudo media e danni enormi


Di Mario Tozzi

Le lance di Marte erano infisse nel suolo e addossate alla parete settentrionale della Regia, nel Foro Romano. Quando vibravano qualcosa di terribile era accaduto: nel 44 a.C. l’assassinio di Cesare, tutte le altre volte un terremoto da Nord, dalla regione compresa fra alto Lazio, Umbria e Marche, la stessa che continua sistematicamente a tremare da millenni. Non era un mistero e non è colpa della Terra: le catastrofi naturali non esistono, esistono solo la nostra ignoranza, l’assenza di memoria, il malaffare e la scarsa propensione alla prevenzione. Tutto il resto (ritardo nei soccorsi, fatalità, destino e dei), sa di scusa e l’abbiamo sentita talmente tante volte da provocare un senso di nausea, soprattutto nel momento in cui molte persone lottano per sopravvivere sotto le macerie. Proprio questo, però, è il momento per riflettere e per capire.

 C’è una responsabile del terremoto di Accumoli, una responsabile che agisce insieme con altre sue simili in un’area molto vasta che va dal confine Umbria, Marche e Lazio fino alla valle del Tevere. È una faglia (come per tutti i terremoti), ma particolare (come tutte le faglie), frammentata in tanti segmenti allineati, ma non continui, che percorre il sottosuolo dell’Appennino centro-settentrionale fino a oltre 20 km di profondità. Un sistema di faglie che non accumulano energia in silenzio per poi scaricarla in «botte» tremende, ma rare. Al contrario, si carica di energia elastica come una molla e poi si libera con frequenza impressionante e, a livello geologico, quasi costante. Nel 1328 il terremoto durò tre mesi, nel gennaio del 1703 la grande scossa fu preceduta da numerose altre premonitrici (che qualcuno potrebbe oggi interpretare come coppie sismiche), nel 1831 il terremoto di Foligno durò oltre quattro mesi. La sequenza sismica della Val Nerina (1979) aveva raggiunto il IX grado della scala Mercalli, intensità raggiunta e superata più volte nella regione attorno, ad esempio nel 1997 con la coppia sismica di Colfiorito, paragonabile per energia liberata.

Cicerone (nel 63 a.C.) ne parla nelle «Catilinarie», Tacito (51 d.C.) ricorda che nelle zona «le case crollano per i frequenti terremoti»: nessuna anomalia, solo il normale «lavoro» del nostro pianeta che qui si era reso manifesto più che altrove. Anzi, questo è il tipico terremoto italiano: magnitudo media in contesti collinari rurali scarsamente popolati, con edifici costruiti spesso male, con materiali di risulta, senza progettazione antisismica moderna, le cui conseguenze sono danni devastanti. A questo seguiranno inevitabilmente la fase delle tendopoli, poi quella dei container (e per favore, evitateci la vergogna delle new town) e lustri per la ricostruzione. E, alla fine, la marginalizzazione di un territorio già lontano da tutto, pur essendo il centro geografico della penisola. 

 Siamo in una regione della crosta terrestre che, dopo aver visto il sollevamento di una catena montuosa (l’Appennino) dalle profondità marine a causa della spinta reciproca dei blocchi africano ed europeo, ora attraversa un periodo di tensioni, piuttosto che di compressioni. Qui la crosta non viene portata a piegarsi e ad accartocciarsi su se stessa, come quando si forma una montagna, anzi: viene «stirata», estesa fino alla formazione di spaccature profonde, le faglie. 

 L’Appennino si è innalzato fino a oltre 3000 metri, ma ora sta ricominciando lentamente a scendere di quota, assestandosi a livelli più bassi: grandi faglie distensive permettono questo aggiustamento, spostando di volta in volta intere «fette» della catena. Insieme ad aree in abbassamento ce ne sono molte in sollevamento e proprio da queste disomogeneità si creano quegli «strappi» (le faglie) che danno luogo ai terremoti. Non è un fenomeno solo di queste parti, è di tutto l’Appennino, di una nazione che è di montagna e ad alto rischio naturale come il Giappone, che però si illude di essere piatta e tranquilla come la Siberia: l’Irpinia (1980) e L’Aquila (2009), come Avezzano (1915) e Reggio Calabria (1908), fanno parte della stessa storia geologica. 

 Questo terremoto è decine di volte meno energetico di quello dell’Aquila, eppure i danni sembrano maggiori (forse non le vittime: molto più scarsa è la densità di popolazione). Perché? Non dipende solo dalla geologia del sottosuolo, che può aver amplificato localmente le onde sismiche, ma soprattutto da come si è costruito e da quanto si è dimenticato. Non è mai il terremoto che uccide, ma solo la casa costruita male. La regione è sismica da sempre, ma le progettazioni del patrimonio costruito sono, nel migliore dei casi, non più efficaci. Ci vorrebbe un adeguamento antisismico e soprattutto ci vorrebbero controlli continui almeno agli edifici pubblici, che debbono continuare a funzionare nell’emergenza: ma qui l’ospedale di Amatrice crolla e le caserme reggono a stento. 

 Bisognerebbe spendere in prevenzione quando non ci sono terremoti: si risparmierebbero non solo vite, ma anche denari (un euro in prevenzione ne vale 8-10 in emergenza). Bisognerebbe dedicare le pubbliche risorse a questo e non a infrastrutture inutili e nuove costruzioni di cui non c’è alcun bisogno. Questo dovrebbero fare amministratori consapevoli e attenti. Questo in Italia non fa quasi nessuno. E, quando arriva il terremoto, sembra sempre che fino al giorno prima non ce ne siano stati: mai come in questo caso sappiamo che non è vero.
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Marco Sclarandis

Wednesday, August 17, 2016

Disponiamo di fatati candelieri



Ce lo suggeriscono certi fortunali
lo squillano alcune trombe d’aria
a dircelo poi chiaro e tondo
saranno tornadi ricorrenti
se davvero troppi fuochi e incendi
di foreste rifiuti e carburanti
abbiamo dappertutto acceso
disponiamo di fatati candelieri
splendenti di più con sole e al vento
esenti da sgocciolii e fuliggini
muscoli focosi dalla forza gelida
animati da invisibili scintille
menti fulminee cristalline
adoperiamo questi mezzi meglio
chè le stagioni che ci attendono
non saranno più armonico quartetto
a cui il passato prossimo e remoto
ci aveva con fiducia abituati.

Marco Sclarandis

Wednesday, August 10, 2016

Valvole termoioniche e razza atermodinamica.

Ringrazio Alberto per l'ispirazione*

Faccio un esempio.
Prendiamo una valvola termoionica degli anni venti ed uno smartphone contemporaneo.
In questo ci sono l'equivalente funzionale di miliardi di quelle altre.
Ma l'una ha bisogno di dieci miliardi di volte dell'altro l'energia per funzionare, pur senza dimenticare, anzi dovendo assolutamente ricordare la storia e le implicazioni che hanno portato dall'una all'altro.

Se non vogliamo precipitare in un'epoca dove non vi siano neanche le valvole termoioniche, ma se va bene i telegrafi turriti a bracci semoventi, dobbiamo rapidissimamente scegliere che cosa far crescere e che cosa portare ad immediata estinzione.
In sé e per sé non sarebbe così difficile se non fosse per quel particolare ordigno biochimico composto da alcune centinaia di miliardi elementi di calcolo interconnessi, che s'accontentano veramente di poco per funzionare.
Ma quel mezzo chilowattora d'energia che richiedono, senza dimenticare eccetera eccetera, produce sovente delle azioni che sono retroattivamente catastrofiche.
Non c'é bisogno d'aspettare un'era geologica di quelle arcaiche, per convincersene.

Anzi una decina di miliardi di quelle centinaia di miliardi, chiamiamoli pure neuroni a questo punto, internettivamente connessi, ci hanno fatto diventare una era biogeologica di fatto.
Potente ed inesorabile come quelle arcaiche, fulminea ed imprevedibile come quella contemporanea.
Ma alcuni di quegli ordigni nella fattispecie ben remunerati, che manovrano altri ordigni capaci d'influenzare miliardi di cervelli umani, questo il nome comune dei biochemiordigni, con quelle finestre incantatorie chiamate un tempo televisori, stanno facendo di tutto. Per mantenere, portare, indurre, ed obbligare anche, le moltitudini di umani che ancora s'accorgono di avere un  biochemiordigno funzionante, alla più beata e tragica incoscienza.

Forse le razze umane esistono davvero, anche se non sono quello che i cosidetti razzisti credono che siano.
Forse ce ne sono almeno due.
Una che é ancora capace di rimanere affascinato dalle rudimentali capacità delle valvole termoioniche.
E nondimeno dal misterioso quartetto delle leggi della termodinamica.
Ed un'altra che vuole continuare a vivere strizzando l'olio dalle pietre.
Oltre che bruciare certe pietre per evitare di consumare un poco d'olio di gomito e di ginocchia.

Cose che stanno diventando molto più assurdo che succhiare sangue dalle rape.

(Dai commenti del post precedente : Disneyleden o Antropocene?) .*

Alberto, spero che sia chiaro una volta per tutte.

Per me la decrescita non è nè una filosofia o una ideologia.

E' solo un fatto che avviene in modo universale quando un altro fatto ha ormai raggiunto e superato un qualche limite intrinseco.

Che si tratti dello spezzarsi di una fune sotto carico, o della potenza d'un impero, per me non fa una sostanziale differenza.
Naturalmente, è molto più facile predire lo schianto d'una corda,
anche se bagnandola si può aumentarne di poco la resistenza, che
prevedere la fine di un impero.

Semplicemente, si fa per dire, mi sembra che sia inutile spiegare ai "disoccupati che senza responsabilità hanno subito la decrescita sulla loro pelle" quanto la decrescita sia in certe situazioni ineluttabile e che per lavorare di nuovo é necessario fare altre cose, che siano diverse da quelle che ormai anno raggiunto il massimo, l'apice, il culmine, l'apogeo o comunque lo si voglia chiamare.Inutile vista l'opera di stordimento incessante del baraccone mediatico dei fedeli della crescita indeterminata.
Sarebbe possibile per venti miliardi di esseri umani vivere su questa Terra godendo, per modo di dire, di un flusso d'energia e di materia e d'informazione che per ora é a disposizione di meno d'un decimo di tale popolazione?

Certo che sì, ma per quanto ne sappiamo, sarebbe un incendio fatuo.
Se poi é quello che desideriamo, va bene lo stesso.
Anzi, mi pare che in fondo questo desiderio sia molto più intenso e diffuso di quello che vorrebbe farci condurre una vita morigerata,lunga e tranquilla anche se un poco noiosa.
Appunto, siamo in un momento in cui ci stiamo istigando vicendevolmente a procurarci lo sport cruiser, magari elettrico, per portare l'E-Bike elettrica ai piedi della montagna dove faremo l'escursione illusoriamente compatibile con la biosfera.

E siccome lo sport cruiser già di per sè pesa come cento E-bike,
anche se li muoviamo con l'E-FV (Elettricità fotovoltaica) é evidente che avere l'uovo oggi, la frittata domani, e lagallina dopodomani, senza mai pagare il conto al pollaiolo, non é possibile.
Decrescere, decresceremo, ed anche incresciosamente, se in massa, sia proletaria che elitaria, ci rifiutiamo di fare due conti sul retro d'una busta per vedere se quadrano con i nostri innumerevoli desideri, volubili capricci,insane velleità, e le leggi fisiche per ora conosciute.

Marco Sclarandis

Monday, August 8, 2016

Il tallone del catastrofista.

Chi fu il primo catastrofista?

 Non fu quello che disse:

"Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene edel male non devi mangiare, perché quando tu ne mangiassi, certamente moriresti".?

Ma quei due primi sciagurati non resistettero alla tentazione di scoprire che cosa ci sarebbe  stato mai di così letale
in quell'albero, che forse aveva un aspetto anche abbastanza ordinario.
Forse, se ne avesse avuto uno più strano avrebbe potuto destare dei sospetti, ma al contrario, la stranezza avrebbe potuto anche aumentarne l'interesse  a cibarsene.

Non bisogna dimenticare comunque che fu un altro essere vivente a provocare la catastrofe.
Che, pur nella sua astuzia, forse non previde che alla fine sarebbe finito con la testa schiacciata da una discendente di quei due sciagurati e di quell'inimmaginabile ed impersctrutabile Giardiniere.

Adesso, però, non abbiamo a che fare non con miti, favole e leggende, ma con una realtà molto prosaica.
E quindi, recitare la parte del catastrofista non è un compito da assumersi alla leggera.
La maggior parte vivente di quella genia primigenia, tutti noi, per intenderci,  coltiva da una parte un'attrazione irresistibile per la catastrofe e dall'altra cerca d'eradicare il terrore che questa produce quando
ci viene addosso.

Una delle catastrofi incombenti, fondata su dei fatti decisamente certi, ma proprio per questo volutamente taciuto da alcuni ed allegramente ignorati da moltissimi altri, é il dirupo energetico da penuria di petrolio.
Non che di petrolio ne manchi sottoterra, ma appunto, non si trova nei laghi prealpini, dove basterebbe una condotta per farlo scendere come un fiume di latte e miele.
E nemmeno sappiamo come strizzarlo da una poltiglia di "solvente universale" e sesto elemento, con efficiente eleganza.
Sessant'anni fa, chi mise in guardia sulla futura possibile catastrofe DPDP (da penuria di petrolio) non venne preso troppo sul serio.Come nemmeno i suoi seguaci, anche adesso, che sappiamo che di questa fetida ambrosia oleosa ce n'è solo per chi vuole procurarsi i tormenti d'un Sisifo.

Ma, ormai la situazione al riguardo é tanto grave quanto tragicomica.
Dobbiamo estrarre quanto più petrolio possibile per attrezzarci quando verrà il tempo in cui estrarlo sarà utile come trapanare buchi nell'acqua.
Allora, che cosa dovrebbe fare il buono e pio catastrofista, devoto alla sua causa, che é quella di dire ai coevi del pericolo sospeso come una spada sulle loro teste?

Io penso che dovrebbe continuare a descrivere l'incombente sciagura, ma allo stesso tempo mostrare la via per evitarla.
E stare lontano dalla schadenfreude* che come, soddisfazione, più che magra è proprio anoressica.
Avendo sempre presente che uno stolido ed ottuso macigno in arrivo, quatto quatto, dal profondo buio cosmico, sistemerebbe le cose con salomonica imparzialità.
Quindi, altro che quello d'Achille, il tallone del catastrofista è proprio una pericolosa fragilità psicofisica.
Estesa dalla pianta dei pedi alla cima della chioma.
Catastrofista avvisato, quasi fortunato.

schadenfreude*, godimento per la altrui sventura.(O più brevementecompiacimento malevolo).

Marco Sclarandis






Friday, August 5, 2016

Non tutti i grulli arrivano per nuocere


Da:
https://ugobardi.blogspot.it/2016/08/alcune-riflessioni-sul-crepuscolo.html?showComment=1470384906154#c6012902037827742667

Anonimo 5 agosto 2016 08.59 :


"Ancora con questa panzana della "fine del petrolio" e conseguente quasi immediata "fine-di-mondo"?
Ancora non si accetta che fra gas naturale, rinnovabili e altre fonti, del petrolio ***come fonte energetica***(altra cosa sono, in parte, i suoi sottoprodotti come le materie plastiche) possiamo fare tranquillamente a meno?
Ancora non si accetta che comunque ci sono ancora enormi giacimenti intonsi (quelli artici ed antartici, ad esempio) che quando servirà/converrà ai "padroni delle trivelle" verranno sfruttati???
Vogliamo parlare di cosa rischia davvero di portare al crollo della civiltà? Sovrappopolazione, inquinamento e cambiamenti climatici caotici, non certo fuffa come la "fine del petrolio"...."


Figurati se non arrivava il solito grullo a rassicurarci che la fine del petrolio è solo una panzana.

Anzi fuffa che assona meglio con truffa.
"Minchioni,non avete ancora capito che i padroni delle trivelle non vedono l'ora di perforate chilometri di ghiacci e di rocce sottomarine per succhiare la prossima fonte di cuccagna?"
 

E sopratutto nel fresco delle tormente boreali e nella notturna e semestrale calma di quei luoghi? aggiungo io.
Così ci arringa dal suo eccelso pulpito, il grullo.
Anonimo 5 agosto 2016 08.59, hai letto anche solo questo post di cui ti sei appasssionato con furia di commentare?
 

L'hai capito?
 

E se l'hai letto e capito, com'é che dici che bastano gas naturale (fonti) rinnovabili ed altre fonti (non meglio descritte) per fare a meno del petrolio, almeno per quanto riguarda l'energia.
Come se fosse uno scherzo rinunciare in breve tempo all'uso ed abuso delle materie plastiche.
Tra l'altro, è meglio non dimenticarsi del bitume, o asfalto che lo si voglia chiamare altrimenti.
Sottoprodotto del petrolio con il quale possiamo viaggiare su strade comode e non polverose o fangose a seconda del meteo.
 

Qui in questo blog si parla da anni di sovrapopolazione (con una sola p per evitare che diventi davvero catastrofica) inquinamento, cambiamenti climatici caotici, esponenziali ed anche insidiosamente
imprevisti, oltre che di risorse in esaurimento o in via di abbandono per semplice impossibilità d'estrazione economicamente e fisicamente vantaggiosa.
Anonimo 5 agosto 2016 08.59, forse non te ne sei ancora accordo, ma un certo tipo di mondo è già finito da un pezzo, ed è solo a causa di grulli di specie diversa dalla tua, ma non di genere differente,
che stiamo entrando nel mondo che farà strage di molte stupide illusioni.
 

Per concludere, prova ad immaginare chi sono veramente i padroni delle trivelle.
Anonimi, scanzonati, ignari che per ogni bottiglietta di PET (sigla del polietilentereftalato) buttiamo via una tazzina di petrolio.E se anche ne recuperiamo un ditale con il riciclo, sempre danno evitabile abbiamo fatto.
Una moltitudine di padroncini idioti, che vogliono solo farneticare di diritti senza mai pensare che senza assolvimento a dei doveri è vana ogni protesta.

Ringrazio questo anonimo per l'ispirazione.

Non tutti i grulli arrivano per nuocere in fin dei conti.

Marco Sclarandis

Tuesday, August 2, 2016

Disneyleden o Antropocene?

C'é un tizio che commenta su uno dei blog di Ugo Bardi che é fissato con l'idea dei settanta milioni.
Non si tratta di una qualche valuta, ma di popolazione. 
Quella che idealmente dovrebbe popolare la Terra per assicurarsi una lunghissima vita, vissuta in pace ed armonia con tutti i restanti ospiti.Che siano virus del vaiolo o basset-hound.
Non che sia il solo il tizio, ad essere fissato su questa idea, ma mi sembra che quando un pensiero del genere
diventa una fede ed anche incrollabile, c'é da sperare che tali fedeli non diventino una setta con ambizioni di governo e dotazione di potere.
Per altro, c'é una folla immensa che più che credere, ama illudersi e sperare che se gli umani raddoppiassero sulla Terra, non una ma anche due o tre volte, non ci sarebbe di che preoccuparsi.
Senza neanche considerare quello che poi farebbero una volta stipati tutti quanti sulla medesima crosta, geofisica ovviamente.
E' molto difficile indurre al ragionamento tali individui, e siccome il ragionamento è un atto individuale, nonostante esista una forma d'intelligenza collettiva, il tempo impiegato per ragionare insieme a queste persone é un investimento ad altissimo rischio.
Inadatto quindi a chi preferisce il quieto vivere sopra ogni altra cosa.
C'é anche da dire, a difesa di quei tizi e di quella folla che ragionare sull'ingombro della nostra specie su questa Terra non è facile, è costoso e sovente ci si sbaglia con il rischio d'essere sbeffeggiati, calunniati 
e perseguitati pure.
Ma ragionare è necessario, ora più che mai.Almeno quanto lo é respirare,bere, mangiare ed evacuare.
Io sono fissato con il Giardino dell'Eden, sapendo che è una bella leggenda e che è una mia fissazione.
Ma gli esperimenti fatti fino ad ora dall' umanità per riportare la Terra alle condizioni di quel giardino primigenio, tutti falliti più o meno miseramente, non mi hanno convinto che non valga più la pena ritentare.
Non tanto per fare di quella leggenda mitica una prosaica realtà, ma per dissipare il dubbio che la vita umana possibile sulla Terra sia solo quella dominata dalla morte tua vita mia.
Anche se non ho più nessun dubbio che chi non vuole proprio adattarsi, sceglie la morte, ma almeno sceglie.
Se ragionassi soltanto, e forse sarebbe un ragionamento apparentemente ben fatto, non m'importerebbe nulla di chiedermi se stiamo finalmente entrando nell'era del Disneyleden o invece uscendo di scena dalla Biosfera attraverso l'Antropocene.
Ma appunto, ancora mi appassiona sperimentare azioni da Giardiniere Primigenio.

Marco Sclarandis.

 

Monday, July 4, 2016

Ultimo pranzo



A quanto pare
quello da voi invocato
prima che inisiaste l’esecuzione
dev’essere un povero imbecille
che crede d’esser grande
circondandosi di stupidi minuscoli
comunque non lo stesso
che comunque vi ha lasciato fare
a che cosa vi è servito
scansare miseria umiliazioni e fame
conoscere quant’è intricato il mondo
se poi arrivati al giorno dell’esame
avete attuato l’errata semplificazione
siete entrati in un ristorante
riconvertendolo in mattatoio
e non avete nemmeno macellato
la fiera pericolosa la belva sacrificale
soltanto fedeli come voi
ma all’idea che qui un poco tanto
per vivere degnamente bisogna lavorare
chiunque v’abbia sedotto e poi
stuprato anima in alcova di squallore
non è mente divina un ente superiore
solo un povero imbecille
che quasi induce alla compassione
dovunque voi siate ora
attorniati da giovani illibate
o segregati in deserto ultraterreno
a chiedervi perché vi siete sottomessi
sperate che almeno qualcuno vi si odii
altrimenti nessuno si ricorderà di voi. 

Marco Sclarandis

Thursday, June 9, 2016

Non sapevi che nell'orto

Marameo perchè sei morto
non sapevi che nell'orto
più non cresce l'insalata
su nel grattacielo storto
sotto luci d'arsenico e di gallio
lì la rucola e l'indivia 
fanno verdi d'invidia i pomodori
ancora alla terra poveretti
ancorati per vivere da vegeti
e di Sole sempre bisognosi
sù non piangere ed ascendi
cogli i boccioli fuggenti
della nuova agricoltura
forse un secolo non dura
ma per passare il carnevale
delle metropoli continuo
è una maschera perfetta
anzi portati una zappa
di moplen mini e glamore
l'arcadia sai
ultimamente 
fa nostalgica tendenza.

Marco Sclarandis

Wednesday, June 8, 2016

Metà per una, l'altra per le altre.

A considerare bene le cose, le materie fossili e fissili sono anch'esse comunque rinnovabili, ma in tempi talmente lunghi e a tali condizioni che ne fanno delle risorse monouso.
Ormai non abbiamo più attenuanti per giustificare il loro impiego in maniera tanto imbecille.
Oltretutto proprio il loro uso migliore ci ha portato a conoscere come utilizzare le risorse rinnovabili ancora meglio di quanto non abbiamo fatto in passato.
Che adoperandole vi sia anche in futuro minore energia disponibile, è solo un bene, visto che l'abbondanza genera facilmente assuefazione e dipendenza, fino alla follia.
D'altra parte, con soli cento watt di potenza continua noi siamo stati in grado di arrivare al dominio sull'intero pianeta.
Ma un quinto di questa potenza pro-capite va adoperata per agire con astuta saggezza.

A meno di non accontentarsi di un'esistenza da invertebrati, cefalopodi esclusi.
Ora dobbiamo adoperarci per trovare gli algoritmi migliori per evitare che questo nostro dominio imperiale non precipiti in una fatale decadenza.
Come suggerisce caldamente Edward Osborne Wilson, dovremmo ritirarci
in non più
di metà della Terra* se non vogliamo finire col vivere da eremiti poveri, rosi dal rimorso 
di un paradiso divorato per un breve baccanale, in una landa squallida ed abbrutita.
Ancor più che di energia rinnovabile abbiano l'assoluta necessità di menti rinnovate.

(Ora dovrebbe essere evidente  il significato del titolo di questo post, e ancora ci parrebbe una equa ripartizione, perchè per noi una cattedrale vale sempre più di mille termitai).
Ringrazio un certo Angelo, che con il suo commento su Effetto Risorse mi dato l'ispirazione

*Il suo ultimo libro "Metà della Terra"
(questo mese anche insieme a "Le Scienze")

Marco Sclarandis

Thursday, May 12, 2016

Mai gettare parole alle locuste


Da Olopiccocene:

Mauro May 11, 2016 at 1:28 PM

E chi ha 20 anni in meno cosa deve fare?
Se da quasi 50anni i nostri simili hanno ignorato tutti gli allarmi cos’altro potrei dire io alle locuste?


Quando si è detto e ripetuto fino alla noia ed alla nausea quello che c'era da dire, bisogna agire.
Non c'è altro da fare, Mauro.
Agire è come provare la verità o la falsità di un teorema matematico, in un certo senso.
Una volta che un teorema si è rivelato essere vero, falso od anche indimostrabile, è da stupidi se non anche da criminali ignorare tale rivelazione.
Molto pragmaticamente, il teorema che sulla Terra vi sia un limite alla presenza di una qualunque specie vivente, 
è banalmente vero.
Uno come Archimede di Siracusa decine di secoli fa, sarebbe stato in grado di calcolare quante formiche avrebbero potuto abitare la Terra, se fosse stata un immenso formicaio.
Più difficile é stabilire oggi se l'umanità possa ancora raddoppiare anche una sola sola e riuscire a vivere per secoli e millenni sulla Terra.Ma è impossibile credere che l'umanità contemporanea possa decuplicare, e se anche ci riuscisse, vivrebbe più di una generazione o due.
Ma come esistono gl'indefessi quadratori di cerchi, armati di sola riga e compasso, esistono quelli che armati di illusioni tecnologiche e pseudoscientifiche, se non puramente magiche o messianiche, rovistano nella loro fantasia per trovare soluzioni che hanno la stessa probabilità d'avverarsi che quella di trovare un numero razionale frugando a caso nella bolgia dei numeri reali.
E' infinitamente più saggio credere ai millenni di Storia che ci dicono che il senso del limite, va ascoltato con la massima attenzione, al pari del sesto senso, perchè ignorare i suoi bisbiglii porta sciagura certa ed immensa.

Per essere ancora più pragmatico, lo smartphone ed i suoi consimili, stanno trascinando folle sterminate di poveri diavoli a credere d'avere in mano una specie di Lampada d'Aladino, che basta strofinare per ottenere quasi tutto quello che desiderano.
Invece di quel "quasi" si ottiene solo una infima parte di quel "tutto" e, se non abbiamo scelto con sufficiente ponderazione, otteniamo proprio l'indesiderabile.
Agire, allora è scegliere. 
Arte che, notoriamente non si può insegnare perchè non si riesce ad imparare sufficientemente 
nemmeno in una vita intera.
E a proposito di locuste, nemmeno loro mangiano tutto quello che trovano.
Quindi, vedere una brigata di formiche che ne trascina una per stivarla nella dispensa può davvero rallegrarci.
E ognuno di noi è qualcosa che nemmeno la formica più  fantasiosa riuscirebbe ad immaginarsi possa esistere.

O detto altrimenti:

Mauro,
Non c’è quasi più nulla da dire perché il necessario, l’indispensabile e l’importante, è stato detto fino alla noia.
Bisogna agire, ed agire è, in un certo senso come dimostrare un teorema matematico.
Che puo rivelarsi vero, falso ed anche indimostrabile.
Ma ottenuta la verità sul teorema è da stolti fino al crimine, ignorarne le conseguenze.
Allora, un Archimede di Siracusa sarebbe stato capace di calcolare quante formiche avrebbe potuto ospitare la Terra, se fosse stata tutta un enorme formicaio.
Noi ora sappiamo che certamente il doppio od il quadruplo di quanti siamo, non potremmo essere ospitati a lungo su questa Terra.
Nemmeno se ci limitassimo a nutrirci l’indispensabile per stare in contemplazione tutto il giorno e dormire tutte le notti.
Nonostante ciò, c’è chi e sono molti, s’illudono e vogliono illudere folle oceanche della concreta possibilità
di superare ancora per secoli dei limiti che sono ogni giorno più evidenti tanto quanto indesiderati ed indesiderabili.
Che questo superamento avvenga attraverso la tecnologia, la scienza, la pseudoscienza, la magia, la superstizione, o chissà quale fede, poco importa.
Per esempio.
Lo smartphone è diventato l’attuale Lampada d’Aladino, che parrebbe basti strofinare per esaudire qualunque desiderio.

Veramente Aladino di desideri ne soddisaceva soltanto un terzetto.

In teoria, è concepibile un mondo dove questo miracolo sarebbe possibile, ma la fisica di questo mondo ci fornisce una certezza matematica che i desideri che è possibile soddisfare per ogni generazione sono limitati non solo in quantità ma in qualità pure, e con un limite che se non altro non è troppo difficile da conoscere.

E, a proposito di locuste, nemmeno loro riescono a divorare tutto quello che trovano.
E forse nemmeno vorrebbero se anche lo trovassero
Anzi, vedere brigate di formiche trascinarne una nella loro dispensa è uno spettacolo confortante,
se si è ancora in grado di vedere certe cose.
Agire è scegliere, e scegliere è un’arte che è forse la più difficile da insegnare ed altrettanto da imparare.
Quindi, diffidare di chiunque si faccia pagare per farcene da maestro.
  
Marco Sclarandis